Prevenire il tumore al seno: screening o diagnosi precoce?

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October PinkIl fiocco rosa, simbolo della lotta al tumore al seno, adorna con sobria eleganza sulla stampa non specializzata le raccomandazioni di autorevoli esperti, non sempre basate su evidenze scientifiche e verosimilmente condizionate da conflitti di interesse non dichiarati.

Nonostante la ricerca ha dimostrato solo che, in particolari fasce d’età, lo screening mammografico riduce la mortalità per il tumore al seno, illustri Maestri dell’oncologia lanciano alle donne un messaggio equivoco: screening e diagnosi precoce “pari sono” perché entrambi salvano la vita.

La probabilità di guarigione del tumore del seno è proporzionale alla tempestività della diagnosi, cioè prima si scopre, meglio si cura e si guarisce […] l’opportunità che abbiamo oggi per la salute della donne è straordinaria: se riuscissimo ad aumentare questa percentuale fino alla quasi totalità dei casi, con la partecipazione in massa delle donne, è ragionevole ipotizzare che anche la guaribilità si avvicinerebbe alla quasi totalità dei casi”. Umberto Veronesi, Huffington Post, 1 ottobre 2013

“Il consiglio che mi sento di dare alle donne è quello di sottoporsi, a partire dai 35, ad una ecografia una volta l’anno ed a partire dai 40 anni anche a mammografia annuale. Essere consapevoli di ciò sta permettendo ad un sempre maggior numero di donne di garantirsi una più alta percentuale di cura e guarigione e una migliore qualità di vita”. Paolo Veronesi, Huffington Post, 8 ottobre 2013

Il video della coloratissima e ubiquitaria campagna Pink is Good, con lo slogan “Prevenzione è anche diagnosi precoce” raccomanda – senza evidenze a supporto – test di screening di efficacia non documentata (autopalpazione, ecografia) e mammografie a intervalli più ravvicinati, ampliando verso il basso le fasce di età a rischio, senza definirne i limiti superiori:

  • A 25-40 anni:
    • autopalpazione del seno, una volta al mese dopo il ciclo
    • visita senologica ed ecografia mammaria
  • Dopo i 40 anni:
    • autopalpazione del seno, una volta al mese dopo il ciclo
    • mammografia, visita senologica ed ecografia mammaria ogni 1-2 anni
  • Dopo i 50 anni:
    • autopalpazione del seno, una volta al mese dopo il ciclo
    • mammografia, visita senologica ed ecografia mammaria ogni anno

La diagnosi precoce delle malattie, in particolare delle neoplasie, è un concetto molto accattivante: infatti, tutti siamo portati istintivamente a credere che l’identificazione precoce di una lesione tumorale e la tempestività del trattamento si traducano sempre e comunque in una riduzione della morbilità e della mortalità. Di conseguenza, i test diagnostici vengono sempre accolti con grande entusiasmo da professionisti sanitari e cittadini, anche quando la ricerca non ha ancora accertato il loro profilo rischi-benefici. Peraltro, la presunta efficacia della diagnosi precoce è ulteriormente rafforzata da percezioni fuorvianti: infatti, un test che anticipa il momento della diagnosi, senza modificare in alcun modo la data o la causa della morte, apparirà efficace agli occhi delle donne pur essendo in realtà del tutto inutile. Questa distorsione percettiva viene alimentata dallo slogan “la diagnosi precoce aumenta la sopravvivenza”, purtroppo… senza ridurre la mortalità!

Indipendentemente dalla loro efficacia nel ridurre la mortalità tumore-specifica, tutti i test utilizzati per gli screening oncologici e la diagnosi precoce presentano un rischio ancora oggi sottovalutato, ma in crescita esponenziale: l’overdiagnosis, ossia  l’identificazione di lesioni non evolutive che soddisfano i criteri diagnostici di forme cancerose e pre-cancerose, ma che non porteranno mai a patologie sintomatiche, né saranno causa di mortalità precoce.

In ambito oncologico, l’overdiagnosis consegue fondamentalmente a due fattori: i “serbatoi” di lesioni occulte non evolutive e la sensibilità sempre crescente dei test diagnostici che ne permettono la precoce identificazione nell’ambito sia dei programmi di screening, sia delle “campagne” di diagnosi precoce, oppure in maniera assolutamente casuale (i cosiddetti “incidentalomi”). Etichettare queste lesioni non evolutive con termini quali “cancro” o “carcinoma in situ” è un potente driver che influenza negativamente pensiero e azioni, perché genera paura. Si tende a infondere un senso di grande vulnerabilità nei confronti del cancro per poi offrire speranze, non sempre realistiche e spesso illusorie: grazie al supporto di un linguaggio persuasivo e degli slogan del marketing sociale, le strategie di diagnosi precoce dei tumori di efficacia non documentata, sono ormai divenute impropriamente un messaggio chiave della prevenzione.

Considerato che la parola “cancro” mantiene sempre la sua carica di paura individui sani vengono improvvisamente trasformati in pazienti oncologici che accettano senza esitazione qualunque intervento terapeutico proposto, anche se i benefici sono incerti e gli effetti collaterali, anche gravi, inevitabili. Ovviamente l’overdiagnosis – richiedendo ulteriori test diagnostici invasivi e terapie non scevre da effetti collaterali (overtreatment) – fa lievitare sia i costi del sistema sanitario, sia i rischi per i pazienti: dagli effetti tossici della chemioterapia e della radioterapia, alla sepsi conseguente a biopsia, alle complicanze post-operatorie sino alla mortalità e, in casi estremi, addirittura il suicidio.

Se le campagne di sensibilizzazione delle donne, come Ottobre Rosa, sono fondamentali per favorire l’aderenza allo screening mammografico, è altrettanto indispensabile mettere un freno alla percezione professionale e sociale che la diagnosi precoce di tumore al seno – utilizzando a tutte le età ogni possibile test diagnostico – è una strategia di prevenzione efficace e a rischio zero.

A tirare il freno dovrebbero essere innanzitutto opinion leader e Maestri: altrimenti l’attraente slogan Pink is Good, rischia di provocare un effetto boomerang per la salute fisica e psichica delle donne italiane, oltre che per la sostenibilità della sanità pubblica.

 

  1. […] Prevenire il tumore al seno: screening o diagnosi precoce? | Il Blog di Nino Cartabellotta. […]

  2. Io sono una di quelle con la medaglia del fiocco rosa.
    Sono stata fortunata e anche senza una prevenzione accurata ho preso in tempo un picoolo, ma estremamente maligno. Il tunnel della chemio comincio a dimenticarlo ora che sono passati 5 anni. Il resto, aiutata da una spendida professionista è stato ed èuna passeggiat, ma quate anche giovani ho incontrato.
    Penso che bisogna fare una pianificazione non solo in base all’incidenza, ma anche in base all’aspettanza di vita.
    La mammagrafia rimane il mezzo preventivo per un cancro che non da segni, come il mio, fino a quando è diventato una massa impegnativa.

  3. Sono una farmacista, lavoro in una ASL e mi interesso “da sempre” di EBM.
    Vorrei sapere cosa ne pensate delle decisione, presa dalla Regione Emilia-Romagna, di estendere la campagna di screening per il tumore al seno anche alle donne dai 45 ai 49 e dai 70 ai 74 anni.
    Nella campagna informativa si afferma che “Questa decisione è stata presa in considerazione dei buoni risultati raggiunti dall’avvio del programma e sulla base delle evidenze di efficacia documentate dalla letteratura scientifica.” Vorrei sapere a quali prove di efficacia si fa riferimento…
    Concordo pienamente con l’analisi del dott. Cartabellotta e “rimarco” un concetto:
    è necessario informare/formare prima di tutto i PROFESSIONISTI DELLA SANITA’, per renderli consapevoli dei rischi e dei benefici degli interventi che propongono ai propri “pazienti”.
    L’informazione diretta ai “pazienti” serve a poco, considerato che, anche quando sono provvisti di una cultura in campo medico, sono fortemente influenzati dal consiglio del curante, essendo il rapporto medico-paziente comunque asimmetrico.
    La mia esperienza è che sia ginecologi che MMG raccomandano fortememnte di sottoporsi ad una mammografia annuale A PARTIRE DAI 40 ANNI.
    Alla mia richiesta di spiegazioni circa l’utilità di questa pratica, ho ricevuto la (scontata) risposta: “è meglio scoprirlo prima, piuttosto che quando è troppo tardi”.

  4. Caro Caltabellotta,

    io credo che se affronti il problema così rischi di fare di ogni erba un fascio e di confeondere le idee alle donne. Se vuoi ti dico subito anche io che resopingo la prevenzione secondaria in questo caso attraverso nastri rosa, treni rosa, settimane rosa, camper rosa, associazioni rosa più o meno interessate dietro le quali ci speculano o per questioni di immagine e prestigio o per molto meno nobili obiettivi tanti professionisti italiani di cui non faccio nomi ma che tutti conosciamo bene.

    Non puoi metter e nel mucchio i programmi organizzati dis creening mammografico che sia benissimo hanno caratteristiche molto diverse. Intanto sono LEA quindi un diritto delle donne. In secondo luog sono ben regolati da linee guida e raccomandazioni molto rpecise sia in termini di fasce di età di popolazione che di test di screening che di intervalli il tutto basato su evidenza scientifica in termini di riduzione di mortalità che è l’unico obiettivo che questi interventi perseguono. In terzo luogo sai benissimo che siamo di fronte a interventi di sanità pubblica organizzati offerti attivamente e rigorosamente controllati e monitorati in ogni suo step in ogni momento del percorso diagnostico-terapeutico, tramite indicatori e standard di riferimento per valutarne i risultati, rilevarne le criticità e attivare meccanimsi di loro superamento e di miglioramento continuo della setssa. In quanrto luogo sai benissimo che viene valutato l’impatto di questi interventi alttraverso gli output desunti dai registri di patologia (là dove presenti e che attraverso questi sistemi possono essere valutati anche eventuali biases o effetti collaterali come la sopradiagnosi, come sai bene imevitabile in interventi di questo tipo. Il problema è verificare quanta se ne produce. Perchè non citare allora il balance sheet del gruppo di lavoro EUROSCREEN recentemente pubblicato sul suppl. 1 del volume 19 della rivista Journal o medical screening che analizza i risultati di tutti i programmi attivi in europa (27 milioni di donne coinvolte) oppure i risultati dell’Independent panel inglese o della US preventive task force oppure i risultati di impatto di UK, di Olanda, di Svezia, di Norvegia oltre che oramai anche di’Italia? Nell’ambito dell’organizzazione deputata al controllo nazionale del programma i cancri di intervallo e la sopradiagnosi sono uno dei temi più controllati e dibattuti visto che riteniamo di essere professionisti seri. Invece di continuare a cercare di denigrare un intervento gratuito, offerto indistintamente a tutta la popolazione, perchè non cominciare a sottolineare che stiamo riducendo la mortalità per cancro mammario nella popolazione femminile interessata che si sta riducendo le disuguaglianze di accesso ai serviszi sanitari in particolare per le fasce deboli della popolazione e gli stranieri, che ci sta insegnando a lavorare per percorsi multidisciplinati integrati e valutati con presa in carico attiva. Ovviamente non sottovalutiamo ceeto gli effetti negativi e cerchiamo invece di poterli cominciare ad individuare per evitarli ed informiamo correttamente le donne della loro esistenza, ma da qui a continuare a gettare cattiva luce sui programmi e sull’impegno di migliaia di opratori credo che ce ne corra

    • silvia stagnaro

      Carlo Naldoni scrive, in coda al suo intervento: “[...] Ovviamente non sottovalutiamo certo gli effetti negativi e cerchiamo invece di poterli cominciare ad individuare per evitarli ed informiamo correttamente le donne della loro esistenza [...]“.
      Mi pare che qui si trovino 2 nodi importanti:
      1) indirettamente, Naldoni ci informa (sorprendentemente) che gli effetti negativi sino ad ora sono stati ignorati, visto che, scrive “[...]cerchiamo invece di poterli cominciare ad individuare per evitarli[...]”
      2) ma se si sta cercando di “poter cominciare ad individuare” gli effetti negativi, allora come può, Carlo Naldoni scrivere subito dopo, a proposito di essi: “[...]informiamo correttamente le donne della loro esistenza [...]“???
      Il passaggio logico davvero mi sfugge… a voi?
      (Del resto non mi risulta proprio di essere mai stata informata in proposito da chi mi propone lo screening… anzi!)

    • GIAMPIETRO BELTRAMELLO

      Caro Nino mi è piaciuto molto il tuo commento sullo screening del carcinoma mammario.Spero che qualcuno capisca che per rendere sostenibile questa sanità dobbiamo avere il coraggio di dire ciò che serve e ciò che è inutile e questo lo devono fare sopratutto i medici e gli esperti del settore. Purtroppo questo non può nascere dai potenziali fruitori di diagnosi precoce, che sono emotivamente condizionati, ma dai professionisti che devono spogliarsi da condizionamenti personali e dire come stanno le cose con onestà intellettuale. Grazie e ciao GPiero Beltramello

  5. Nino, ho trovato molto interessante il tuo articolo e ti faccio i miei complimenti per le tesi che porti! Al di là dell’overdiagnosis e dei problemi a cui porta, avendo avuto conoscenze a cui hanno diagnosticato il cancro in una fase ormai critica, personalmente credo sia meglio prendersi un sano spavento che ignorare lo screening e trovarsi poi nella disperazione più totale. Alla fine tutto sta nell’intelligenza delle persone nell’allarmarsi ed affidarsi alla prima cura proposta (in realtà ciò alimentato anche dall’asimmetria informativa paziente-medico) ma anche nelle informazioni sbagliate come quelle di cui i media ci bombardano. Sta tutto nella non facile lettura di cose scritte tra le righe di parole fuorvianti.

  6. Magari si potesse “prevenire il cancro”: mi metterei in prima fila!
    E poi le parole “diagnosi precoce” sono enormi ed effettivamente fuorvianti.
    Forse in rapporto alla quantità di anni di vita di un essere umano, trovare una lesione carcinomatosa al seno e poterla curare non ci farebbe morire per essa.
    Ci vuole prudenza è vero, ma anche stare sempre a fare controlli, con ossessione e credendo erroneamente di annullare il rischio di malattia cancerosa, è da suicidio.
    Peraltro io stò parlando solo di mammella e non di altri organi!

  7. “Overdiagnosis of invasive breast cancer due to mammography screening: results from the Norwegian screening program”. È il titolo di un articolo pubblicato su Ann. Intern. Med. ad aprile 2012, che ha stimato tra il 15% e il 25% i casi di cancro della mammella diagnosticati in eccesso. Gli autori hanno, inoltre, stimato che, per ogni 2.500 donne sottoposte all’esame, circa 2.470-4 non riceveranno mai la diagnosi di ca mammario e 2.499 non moriranno mai di ca mammario; si riuscirebbe a prevenire 1 solo caso di ca mammario, ma 6-10 donne verrebbero sottoposte a inutili trattamenti a causa della sovradiagnosi. RIFLETTETE…addetti ai lavori

  8. Le precise e documentate puntualizzazioni di Nino Cartabellotta concedono ampi spunti per la riflessione. Me ne concedo un paio, al volo.
    1. Purtroppo ci sono concetti che al cittadino, che non è professionista della salute, sfuggono e questo lo limita nella possibilità di fare scelte autonome consapevoli. Un recente studio qualitativo australiano, pubblicato sulla rivista BMJ, ha posto in evidenza non solo la mancanza di conoscenza del concetto di “overdiagnosis”, ma anche la difficoltà di comprensione del reale significato del termine in questione (Hersh J et al, 2013).
    2. Tutti presi come siamo nel fare test di screening (anche con tempi e modalità non evidence) non ci poniamo il problema dalla reazione che possono manifestare le persone qualora ricevano un ricall per un test di secondo livello (30% circa di chi si sottopone a test mammografico -Thoresen, & Tretli, 2004), studiare il vissuto delle donne richiamate nel periodo di attesa dell’esame di secondo livello potrebbe porre un pesante dilemma etico non tanto per i programmi di screening di tipo EB, quanto piuttosto rispetto alla faciloneria con la quale alcuni Maestri suggeriscono esami inutili a donne che non hanno altri strumenti se non la fiducia nel “Guru”.

  9. silvia stagnaro

    Sono molto grata a Nino Cartabellotta che fa informazione su questo argomento smentendo chi, in modo molto sospetto (se non vergognoso), coltiva l’ansia delle donne, proponendo controlli troppo ravvicinati ed inappropriati, anche screditando il SSN a favore del privato “salvifico”. Concordo anche, in toto, con Silvana Quadrino. Dall’età di 23 anni (ne ho 62) sono stata messa in ansia inutilmente dall’idea del possibile (incombente) cancro alla mammella, a causa di una mastosi fibrocistica… e di una zia morta per questo motivo. Quindi mammografie a raffica dai 23 anni in poi. Il ginecologo da cui, la prima volta, mi aveva portato (privatamente) mia suocera mi aveva così terrorizzato (colpevolizzandomi a causa della terapia contraccettiva farmacologica da entrambi aborrita)da farmi passare in lacrime buona parte del viaggio di nozze… Non avevo nulla. Dopo quella partenza traumatica, ho continuato a vivere molto ansiosamente ogni controllo per anni… sinchè ho iniziato ad informarmi… e l’ansia è finita, anche se la dovuta attenzione permane. :-) ))

  10. Quando ti capita ti cambia la vita, e le cure che seguono l’intervento (radio e chemio) ti spengono l’entusiasmo e devi lottare per riconquistarti il tuo buon umore. Lo fai per te e per i tuoi cari. Forse la diagnosi precoce mi ha salvato la vita, forse no. E’ difficile avere un’opinione. Io mi sono affidata a menti esperte come la tua! Complimenti per il tuo impegno civile e professionale.

  11. Avrei molto da raccontare in merito alla prevenzione di questi tumori e…all’incompetenza di tanti professionisti.Purtroppo, se le donne non hanno un minimo di conoscenze, non pongono domande, accettano supinamente ciò che viene loro proposto – anche se molto sgradevole come, per es. un agoaspirato a un fantomatico nodulo con il quale convivono senza problemi da anni – sono sottoposte a un sacco di indagini inutili! Si dovrebbe puntare all’informazione capillare e OBIETTIVA. Is this possible?

  12. negli anni si e’ sempre fatto leva sulla diagnosi precoce senza pero’ spiegare che cosa comporta e la sostanziale differenza con lo screening. A tutt’oggi nelle campagne pubblicitarie c’e'una spinta incredibile al consumismo sanitario fine a se’ stesso. senza una rete socio sanitaria, con la donna al centro, che coinvolga specialisti, MMG, spicologi,INFERMIERI,tutto si riduce ad un mercato che si alimenta sulla paura che la parola “cancro”scaturisce!oggi viviamo in una sorta di delirio collettivo dove si pensa di poter sconfiggere tutto anche la morte e siamo disposti a tutto!I PROFESSIONISTI DELLA SALUTE DOVREBBERO AVERE ANCHE IL COMPITO DI EDUCARE I CITTADINI AD UN USO DELLA MEDICINA APPROPRIATO ED EFFICACE,tutto ilresto e’marketing sanitario!

  13. Laura Dell'Edera

    Lo screening è sicuramente più semplice, meno dispendioso per le ridotte risorse del nostro SSN, ma dovrebbe essere più diffuso ed incoraggiato di quanto lo sia oggi.
    Il ruolo del medico è fondamentale. Parlare senza generare inutili ansie, informare in modo corretto, incoraggiare comportamenti “virtuosi” dovrebbe essere una priorità della sua professione.

  14. Screening e diagnosi precoce non sono la stessa cosa, ma credo che non si possa arrivare alla diagnosi precoce senza uno screening organizato ed efficiente.
    Riporto la mia esperienza personale.
    Nonostante l’assenza di fattori di rischio, 7 anni fa, all’età di 51 aa, in corso di screning mammografico osganizzato dalla ASL di Parma,sono stati identificati aspetti meritevoli di approfondimento diagnostico.
    Il Mammotom e la biopsia escissionale effettuati a seguito dell’esito della mammmografia hanno individuato un tumore di piccole dimensioni in fase preclinica, che è stato rimosso, senza esiti esteticamente rilevanti e con un impatto emotivo ridotto.
    Ho effettuato le terapie del caso e proseguo lo screening annuale.
    Tutto l’iter è stato seguito nell’ambito dei servizi del SSN con effiucienza e professionalità. Sicuramente ci sono sacche di inefficienza in cui la speculazioone prospera. La mia esperienza è stata comunque totalmente positiva.

  15. Ho organizzato nel 2006 il primo screening mammografico nella Regione Sardegna. Le riflessioni fatte dal collega le condivido e aggiungo che già allora feci presente alla direzione ed in diversi congressi nazionali i rischi che si correvano e non solo quelli …

  16. francesca lombardi

    condivido da tempo l’analisi perfettamente esposta e che è stata oggetto di discussione al master di funzioni direttive dell’Università di Bologna. la prevenzione è fatta di tante cose, molte naturali e poco costose (arance siciliane!!!). ma sono sempre più convinta dello stretto network tra stato d’animo e insorgenza di patologie tumorali (una sorta di emotivoplasia) e della necessità di non essere travolti in un vortice di paura, incertezza e malattia (vera o presunta). La diagnosi precoce è un’altra cosa.

  17. Anch’io concordo con le osservazioni del dott. Cartabellotta e affermo che c’e’ differenza!Lo screening prevede una serie di esami programmati direttamente dalle ASL. (Prevenzione Primaria).
    Mentre fare diagnosi precoce significa individuare il tumore in fase iniziale, quando ancora non si è diffuso in altri organi. A mio giudizio quello che manca è l’informazione e la conoscenza tra le utenti quindi sarebbe opportuno sviluppare maggiori campagne informative.

  18. grazia nuvoloner

    mi lascia perplessa il potenziale rischio di sottoporsi a tante e spesso ravvicinate indagini mammografiche e quindi radiografiche….. siamo certi che non sono un fattore scatenante…?

  19. La convinzione che conoscere “per tempo” il proprio stato di salute, come dice Marika, sia comunque sempre un bene è l’illusione crudele su cui prospera chi spinge per un aumento continuo di test ed esami. Un piano di diagnosi precoce come quello prospettato da Veronesi rischia di trasformare la vita di ogni donna in un continuo angosciante appuntamento con una palpazione del seno, un’ecografia, una mammografia, a partire dai 25 anni. Per garantirsi una migliore qualità della vita??? I costi in termini di ansia,di falsi allarmi (quante di noi hanno vissuto il momento raggelante in cui ci si chiede: ma questo sarà un nodulo?), di eccessiva focalizzazione della vita sulla ricerca di una malattia che rappresenta per ogni donna il timore più presente, i rischi di falsi positivi non ci parlano di migliore qualità della vita. Tutti i professionisti sanitari, a partire dai medici di medicina generale, hanno il compito di non lasciare sole le donne di fronte a una proposta come questa, che alimenta un clima di sfiducia e di sospetto nei confronti del servizio pubblico, che da anni organizza in modo rigoroso e accurato gli screening seguendo i criteri accettati dalla comunità scientifica internazionale, ma viene invece additato come un cinico speculatore che lesina gli esami gratuiti per risparmiare sulla pelle delle donne. Gli speculatori sono altri, ma la paura di non essere curate nel modo migliore pesa tutta sulle spalle delle donne; alimentare questa paura è cinismo

  20. Penso che la comunicazione persuasiva di chi ha il potere di far leva sulle masse, sia difficile da combattere! ‘massì, chissenefrega, meglio un esamino in più, no?’. Difficile far capire alle persone che quando si entra nella lista dei ‘malati’, poi non se ne esce più…:-(

  21. Emanuela Marchi

    Penso che gli illustri italiani abbiano già lucrato abbastanza e abbiano vissuto di facili slogan

  22. […] Prevenire il tumore al seno: screening o diagnosi precoce? | Il Blog di Nino Cartabellotta. […]

  23. Premesso che la mia opinione si basa sulle poche conoscenze che ho in merito all’argomento,secondo me non è corretto mettere sullo stesso piano screening e diagnosi precoce considerandole come le due facce di una stessa medaglia.Innanzitutto bisogna sempre valutare il rapporto costi-benefici non soltanto per il costo che questi test comportano per la Sanità ma soprattutto per il vantaggio reale che può trarne la persona che si sottopone a questi test.Pertanto penso che bisogna fare sia un uso corretto della diagnosi precoce quando questa serva ad agire tempestivamente e ad evitare quando possibile conseguenze gravi quali la morte, sia riducendo l’uso dello screening per quelle fasce d’età per le quali risulta efficace ai fini di una diagnosi precoce e non utilizzarlo soltanto come un mero strumento di rilievo epidemiologico di una malattia in una determinata popolazione o target di persone.

  24. Bisognerebbe fare poche cose e utili, senza strizzare l’occhio a chi ha interessi diversi da quelli della tutela della salute.

  25. Marika Lo Monaco

    Che dietro ad ogni campagna di sensibilizzazione ci sia sempre chi ci guadagna questo si sa bene, d’altro canto non si può però negare ad una donna il diritto di sapere PER TEMPO la verità sul suo stato di salute. Oggi sentiamo tanto parlare amiche e parenti che hanno sconfitto il cancro grazie alla diagnosi precoce, e si sente anche tanto parlare di donne che invece non ce l’hanno fatta a causa di una diagnosi arrivata troppo tardi… Sono le liste d’attesa troppo lunghe per esami strumentali( che in fondo non richiedono un grosso dispendio di tempo e denaro)che spingono poi le donne a sentire il dovere morale verso se stesse e i loro cari di recarsi presso specialisti privati pur non presentando segni e sintomi di un tumore alla mammella. L’ansia scaturisce dalla difficoltà di accesso allo screening gratuito e dalla conseguente pressione esercitata da chi alla fine deve pur ricavarci qualcosa…

  26. Eugenio de Liberali

    stessa linea, altro ambito oncologico: l’altrettanto abusato screeninig del tumore prostatico. Vedi: Review of the Evidence for the
    U.S. Preventive Services Task Force, di
    Roger Chou e Coll. su Ann Intern Med. 2011;155:762-771 e vedi: 2013 Annual Report on Prostate Diseases di Harvard Medical School su http://www.health.harvard.edu/special_health_reports/Prostate_Disease

  27. Lamberto Manzoli

    Tutto giusto, aggiungo che anche sull’efficacia dello screening mammario persistono tanti e tanti dubbi:
    partendo da Lancet 2000;355:129
    Lancet 2001;358:1340
    Int J Epidemiol 2004;33:56
    BMJ 2010;340:c1241, fino al salomonico
    Lancet 2012;380:1778
    Un caro saluto

  28. Nick Sandro Miranda

    Concordo pienamente con le osservazioni del dott. Cartabellotta. Merita particolare attenzione la pratica della sofisticazione del linguaggio che utilizza strumentalmente in maniera impropria termini che si rassomigliano, ma hanno significati differenti. Mi riferisco in particolare al termine prevenzione. La primaria riferisce alla salute (tutela e mantenimento), la secondaria e terziaria alla malattia. Eppure il marketing della salute le utilizza come fossero sinonimi. La prova? Da indagini statistiche risulta che il 69.1% delle donne pensa che lo screening annulli o riduca il rischio di ammalarsi di cancro al seno! (http://www.partecipasalute.it/cms_2/node/1856) Ma, oltre ovviamente a non impedire la malattia, lo screening di massa, in certi casi, non riesce neanche a ridurre la mortalità!
    Nick Sandro Miranda

  29. La revisione Cochrane “Screening for breast cancer with mammography” di Gøtzsche nel 2006 ha aperto quelle che Fiona Godlee nel 2011 ha chiamato “mammography wars”.
    Le conclusioni dell’aggiornamento 2013 della revisione non cambiano sostanzialmente il punto.
    In un articolo del 2011 Gøtzsche sosteneva: “If screening had been a drug, it would have been withdrawn from the market. Thus, which country will be first to stop mammography screening?” (http://www.cmaj.ca/content/183/17/1957)
    Sarà però difficile fermare una macchina che ha prodotto professionisti, strumentazioni, carriere oltre che molta carta e molte illusioni collettive.

  30. Penso che viviamo in una realtà schizofrenica in si cura poco o per nulla la qualità di vita delle persone, degli ambienti di lavoro e delle città e poi si enfatizza l’efficacia di questi pacchetti prestazionali ammantati di una funzione di medicina preventiva che a volte preventiva non è.
    Dal canto mio, non so più a quale offerta e a quali evidenze dare credito.
    Tutto questo mi procura soltanto un moto di sospetto o addirittura di rifiuto.
    Consiglio la lettura di “Salute e malattia” di Ongaro Basaglia (andava di moda negli anni ’70, ma lo considero un libro ancora attuale)