Dalla Sicilia a Roma: un jet-lag a prova di melatonina

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rembrandt_009_lezione_di_anatomia_1632In linea d’aria solo 500 km separano Taormina da Roma, all’interno dello stesso meridiano, senza salto di fuso orario. Eppure… sono ancora spossato da un debilitante jet-lag resistente anche a massicce dosi di melatonina.

Dallo stimolante confronto internazionale sull’utilizzo delle conoscenze per garantire la sostenibilità dei sistemi sanitari, ho fatto un vero e proprio salto nel vuoto… il vuoto pneumatico che ha caratterizzato la V edizione del Forum sull’Educazione Continua in Medicina!

Prima tappa: dal 28 ottobre al 2 novembre l’incantevole cornice di Taormina ha ospitato la Evidence-based Health Care (EBHC) International Joint Conference che la Fondazione GIMBE ha organizzato in collaborazione con la International Society for Evidence-based Health Care. Una variopinta kermesse di 200 professionisti provenienti da 35 paesi di tutti i continenti – con 6 interventi preordinati, 36 presentazioni e 52 poster – ha dimostrato che l’EBHC può contribuire alla sostenibilità dei sistemi sanitari attraverso le tre parole chiave scelte per il titolo della conferenza:

  • Evidence: produzione, sintesi e utilizzo di evidenze scientifiche di elevata qualità.
  • Governance: erogazione di un’assistenza sanitaria evidence-based ed high-value, grazie a un approccio di sistema alla clinical governance che prevede l’integrazione di strumenti sinergici (evidence-based practice, linee guida e percorsi assistenziali, audit clinico e indicatori di performance, gestione del rischio, valutazione delle tecnologie sanitarie, formazione e sviluppo professionale continui, coinvolgimento dei pazienti, ricerca e sviluppo, staff management).
  • Performance: misurare accountability e openness dell’assistenza sanitaria, attraverso set multidimensionali di indicatori (sicurezza, efficacia, appropriatezza, coinvolgimento dei pazienti, equità d’accesso, efficienza, produttività).

Il mio contributo personale ha lanciato sfide avvincenti alla EBHC community, attraverso il framework elaborato dalla Fondazione GIMBE per un sistema sanitario realmente basato sulle evidenze: ostacoli e soluzioni nell’articolato percorso che dalla produzione e sintesi delle conoscenze conduce al loro trasferimento alle decisioni professionali, alle strategie organizzative e alle politiche sanitarie.

Seconda tappa: il 4 novembre, ancora inebriato di conoscenza, volo su Roma per la V Conferenza Nazionale sulla Educazione Continua in Medicina dove – considerato che quest’anno le Istituzioni hanno giustamente scelto di “giocare in casa” rinunciando alla sfarzosa location di Cernobbio – mi aspetto il parterre delle grandi occasioni, pronto a lanciare sfide altrettanto avvincenti per il prossimo triennio dell’ECM.

All’apertura dei lavori l’onnipresente Ministra, concentrata sull’imminente rivoluzione europea della libera circolazione di pazienti e professionisti e sullo scampato (?) pericolo di nuovi tagli alla Sanità, ci ricorda che “senza formazione non c’è futuro”. Achille Iachino, neo-segretario della Commissione Nazionale per la Formazione Continua, dopo averci illustrato i (chiaroscurali) numeri del triennio 2008-2010, si congeda da noi dichiarando che “non c’è nessun motivo per avere paura della buona formazione”. Anche gli interventi di una Commissione Nazionale per la Formazione Continua “a scartamento ridotto” e le successive tavole rotonde con gli stakeholders del sistema ECM mi gettano nello sconforto: dove sono le altisonanti sfide lanciate a Cernobbio negli anni passati? Il dossier formativo, la certificazione dei professionisti, la sperimentazione di metodologie innovative per l’ECM… apparentemente tutte presenti, ma in tono minore, in maniera troppo burocratizzata e, di fatto, sempre in fase sperimentale. Solo Giovanni Bissoni, presidente dell’Agenas, mette in correlazione la clinical competence, strettamente legata all’ECM, con la clinical governance.

Terza tappa: smaltiti gli effetti del jet-lag e riacquisite appieno le funzioni cognitive realizzo che il Sistema Nazionale ECM è affetto da “crepe” molto simili a quelle rilevate da Flexner un secolo fa nella formazione del medico: eccessivo condizionamento da interessi commerciali, mancata standardizzazione dei curricula, insufficiente valutazione degli esiti della formazione sulla qualità dell’assistenza e sull’utilizzo delle risorse. In questo contesto, aggravato dalla spending review, è impossibile che Istituzioni e organizzazioni sanitarie intravedano nella formazione continua un potente strumento produttivo per investire nel capitale umano.

Oggi, la vera attuazione di un Sistema Nazionale ECM ineccepibile sulla carta, è fortemente condizionata dalla capacità di tutti i protagonisti della formazione continua di metabolizzare alcuni princìpi fondamentali, poco “appetibili e digeribili” perché richiedono di scardinare violentemente attitudini e comportamenti consolidati.

  • I professionisti (medici in particolare) non possono identificare la formazione continua con la partecipazione a congressi e conferenze, sia perché inefficaci nel modificare i comportamenti professionali, sia perché fortemente influenzati dagli sponsor. Abbiamo bisogno di un ECM non più sporadica o opportunistica, ma realmente “continua” e integrata nell’attività professionale. In particolare, i professionisti devono sviluppare l’attitudine a identificare dalla pratica clinica i propri gap di conoscenza, a sviluppare adeguati quesiti, a ricercare nuove conoscenze, a interpretarle e ad applicarle alla pratica professionale. E’ il principio del self directed life-long learning, di cui l’Evidence-based Practice - come confermato a Taormina – è la metodologia fondamentale, peraltro inserita da Sistema Nazionale ECM tra «le aree di particolare rilevanza per il SSN e i SSR».
  • Le organizzazioni sanitarie devono identificarsi come learning organization, riconoscendo nella formazione continua e nel miglioramento della competence professionale le determinanti fondamentali per migliorare la qualità dell’assistenza sanitaria sino a raggiungere l’eccellenza. A tal fine devono predisporre adeguate leve motivazionali per valorizzare il capitale umano, in particolare integrando nei meccanismi di governance aziendali sistemi premianti connessi con indicatori di qualità dell’assistenza (pay-for-performance). Infine, devono misurare l’efficacia della formazione continua sui comportamenti professionali, in particolare con l’audit clinico, inclusa tra le attività di formazione sul campo.
  • Tutti gli attori dell’ECM devono seriamente impegnarsi a gestire in maniera trasparente i conflitti di interesse, consapevoli che la formazione sponsorizzata fa parte di una strategia multifattoriale dell’industria per modificare i comportamenti dei professionisti in senso market-oriented. E’ una formazione gratuita, ma costa troppo sia al sistema sanitario, sia soprattutto ai pazienti.

Potranno le mie riflessioni (e i vostri commenti) convincere istituzioni e organizzazioni sanitarie a interpretare la formazione continua come un investimento, orientando i professionisti a scegliere eventi ECM che garantiscano un “adeguato ritorno” per la salute dei cittadini?

Nel frattempo, esaurito il barattolone di melatonina, non mi resta che rimpiangere gli ampi e luminosi orizzonti (culturali) aperti a Taormina e augurandomi che il nostro Sistema Nazionale di Educazione Continua in Medicina non diventi il cadavere delle “Lezioni di anatomia” di Rembrandt, attualmente escluso dal logo dell’ECM.

LOGO-ECM

 

 

  1. Spero di sbagliarmi ma temo che di continuo ci possa essere solo l’aggiornamento. La formazione, ahimè, uno se la fa da piccolo (beh: diciamo da studente) frequentando buone compagnie e non certo seguendo corsi, anche se buoni. E si forma anche ad imparare ad aggiornarsi e ad aggiornare, senza intortamenti. Questa ECM mi sembra più un grande affare per qualcuno e una gran perdita di tempo per molti. Sarà che non ho mai visto un pericoloso diventarlo meno per aver aver seguito qualche programma formativo. Impressione, ovviamente, non evidence based. Però…

  2. “Le organizzazioni sanitarie devono identificarsi come learning organization, riconoscendo nella formazione continua e nel miglioramento della competence professionale le determinanti fondamentali per migliorare la qualità dell’assistenza sanitaria sino a raggiungere l’eccellenza. A tal fine devono predisporre adeguate leve motivazionali per valorizzare il capitale umano [...]”
    Ma le organizzzioni sanitarie sono davvero interessate alla crescita delle competenze dei propri professionisti, o, piuttosto, non preferirebbero che i propri professionisti se ne stessero buoni a raccogliere solamente “i punti” che esse propinano loro?
    La qualità della formazione interna alle aziende sanitarie non è sempre delle migliori e se si decide di fare percorsi maggiormente strutturati in autonomia, non solo non si viene appoggiati, ma addirittura si trovano ostacoli insormontabili.

  3. Maria Ricciardi

    Grazie a tutti, sapere che esistete è un grande conforto. Grazie al Prof Muzzi, che a mio giudizio, centra un problema e le sue conseguenze: l’attuale “medicina commerciale”. Per molte strutture erogare prestazioni per fare DRG è il mandato, del destino del malato o dell’interesse collettivo poco importa.
    E’ evidente che in questo contesto è necessario intervenire anche a monte (preparazione della dirigenza strategica) e a valle misurando o semplicemente diffondendo meglio i dati sullo stato di salute, il guadagno (o la perdita, o semplicemente la non modifica) della stessa in seguito a determinate prestazioni sanitarie. Capisco che è molto complesso ma mi chiedo perché alcuni eccellenti lavori come la mortalità evitabile e altri … vengano ignorati completamente da chi governa il sistema e perché a fine anno tutti vengano sempre premiati per il raggiungimento di obiettivi regionali sempre più spesso burocratici.
    mariaricciardi

  4. Ma dove sta alla fine di tutto ciò il rispetto della normativa in merito all’obbligatorietà dell’ecm? Chi da sempre raggiunge l’obiettivo dei crediti formativi quanto viene premiato e quanto sanzionato chi non ha mai fatto ecm? Grazie

  5. Franco Travaglino

    Buongiorno a tutti. Domanda: cosa ha a che fare la attuale “raccolta punti” con la splendida frase ” i professionisti devono sviluppare l’attitudine a identificare dalla pratica clinica i propri gap di conoscenza, a sviluppare adeguati quesiti, a ricercare nuove conoscenze, a interpretarle e ad applicarle alla pratica professionale”?? I veri professionisti lo facevano e continuano a farlo, anche senza punti e costrizioni. I lazzaroni e gli ignoranti continueranno a fare finta formazione sponsorizzata. E poi, quando lavori forsennatamente in una struttura pubblica perennemente in emergenza per cercare di garantire un minimo di LEA, combattendo con una burocrazia assurda e con rigidità incredibili della “Azienda”, quanta energia e motivazione pensate che resti a fine giornata? Dopo 27 anni di ospedale (pubblico)l’amarezza prevale sulla motivazione.

  6. Caro collega,
    seguo sempre con molta attenzione e sincero piacere le tue iniziative per la ragione che dalla lettura del celebre “libretto rosso” di Cochrane (1972) mi sono dedicato professionalmente (direttore sanitario ospedaliero) e come docente (insegnante univeritario) alla materia che ho denominato “epidemiologia applicata ai servizi sanitari” (ne esistono tracce nella “mia” rivista “Igiene e sanità pubblica” e nei master presso l’università di Roma Tor Vergata che proseguono annulamente dal 1982) e che ora si chiamerebbe Health services/systems research. Mi sono reso conto che le attività formative sono seguite solo se il potenziale cliente ne vede un vantaggio personale (giustamente) ovvero che possono essere “commercialmente” sfruttate, e vengono quindi escluse quelle che possono avere un interesse per la collettività (questa sconosciuta!) ovvero quasi tutte quelle che rientrano nella evidence-based health care. Ovviamente coloro che potrebbero (e dovrebbero) avere interesse non desiderano “avere tra i piedi” sanitari preparati in questo campo che potrebbero ostacolare le loro “vere” finalità (intelligenti pauca).
    Armando Muzzi

  7. silvia stagnaro

    sì, immaginavo… però su Slow med il “pubblico” è eterogeneo e talvolta non conosce il significato di molte locuzioni (o acronimi), quindi è meglio esser molto divulgativi, nel modo più semplice… sono certa che concordi…

  8. silvia stagnaro

    ciao, ho trovato particolarmente importante che tu scriva “Tutti gli attori dell’ECM devono seriamente impegnarsi a gestire in maniera trasparente i conflitti di interesse, consapevoli che la formazione sponsorizzata fa parte di una strategia multifattoriale dell’industria per modificare i comportamenti dei professionisti in senso market-oriented. E’ una formazione gratuita, ma costa troppo sia al sistema sanitario, sia soprattutto ai pazienti” Mi pare che questo, da solo, sia unobiettivo su cui focalizzare molti sforzi… Però, Nino… ho ancora l’orticaria per l’uso eccessivo di locuzioni in inglese (anche per dir le cose più banali, complicandole il più possibile) del documento ministeriale sul (ih ih) “malato complesso”… Almeno tu, Nino caro, potresti evitare di soggiacere alla tirannia del colonialismo culturale anglofono, almeno quando si parla tra noi e non è strettamente necessario l’uso della lingua mediatrice ufficiale??? :-) )))

    • Nino Cartabellotta

      Cara Silvia è stato solo un effetto prolungato del jet-lag… Cmmq scherzi a parte alcuni termini li uso in lingua originale perché molti colleghi vogliono approfondire con ricerche bibliografiche e… hanno le parole chiave già pronte