Medicina difensiva e test diagnostici: adesso basta!

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In numerosi commenti a post precedenti emerge il preoccupante fenomeno della medicina difensiva, quale “legittima giustificazione” dei medici a prescrizioni inappropriate, in particolare di test diagnostici. E’ un alibi legittimo nell’era della persecuzione giudiziaria dei medici e di altri professionisti sanitari?

Sicuramente è un invito a riflettere sulla “professionalià” di queste prescrizioni, visto che le conseguenze cliniche per i pazienti e quelle organizzative ed economiche per il sistema sanitario sono enormi.

Gli Annals of Internal Medicine, il 17 gennaio, hanno pubblicato un articolo finalizzato alla “prevenzione e alla terapia della medicina difensiva”: un panel di professionisti ha identificato ben 37 test diagnostici i cui benefici marginali non giustificano i costi e i rischi (low value).

Nell’editoriale, Laine ricorda che per prescrivere test diagnostici ad high value il medico deve porsi alcune semplici domande:

  1. Se il paziente ha già eseguito il test in precedenza: esistono specifiche indicazioni per ripeterlo? E’ verosimile che i risultati del nuovo test differiscano in maniera sostanziale dall’ultimo risultato?Posso utilizzare i risultati del test già effettuato, invece di prescriverlo nuovamente?
  2. I risultati del test diagnostico, qualunque sia il loro risultato, modificheranno le mie decisioni cliniche?
  3. Qual è la probabilità e quali sono le potenziali conseguenze avverse di un risultato falsamente positivo del test diagnostico?
  4. Se non richiedo il test diagnostico, il paziente presenta dei rischi a breve termine?
  5. Se sto prescrivendo il test diagnostico solo per soddisfare le richieste del paziente e/o per rassicurarlo: ho informato il paziente riguardo tutti i punti precedenti? Esistono altre strategie per rassicurare il paziente?

Sulla falsariga di Laine, io aggiungo che dal canto suo il paziente dovrebbe chiedere al medico:

  1. Visto che ho già eseguito l’esame poco tempo fa è indispensabile ripeterlo?
  2. I risultati dell’esame modificheranno le sue decisioni?
  3. Se il test è falsamente positivo (e io sono sano) quali rischi corro?
  4. Se non faccio l’esame quali rischi ci sono a breve termine?
  5. Se sta prescrivendo l’esame solo per soddisfare le mie richieste, lasci perdere e provi a rassicurarmi in altro modo

Fonte: Laine C. High-value testing begins with a few simple questions. Ann Intern Med 2012;156:162-3

  1. pietro alfonsi

    i cambiamenti sociali degli ultinìmi decenni sono stati enormi. Tra questi anche quello del rapporto tra medico e paziente, che invece di essere di subordinazione ed individuale -come era decenni fa- è diventato di valutazione critica e sociale -cioè mediato da strutture sociali che possono trattare col medico da posizione di forza (ASL, assicurazioni…).
    Purtroppo questo cambiamento non è stato recepito da colleghi che basano i propri ragionamenti sul principio di autorità, piuttosto che su quello di autorevolezza.
    Tra i cambiamenti sociali che veramente hanno agito in negativo, specialmente in questi ultimi anni, è la informazione deviata che viene somministrata al pubblico da colleghi televisivi che predicano come i nuovi test diagnostici e le nuove cure abbiano un effetto miracoloso, e così alzano le aspettative della popolazione a livelli irrangiungibili.
    A questo si oppone la assoluta mancanza di una qualche forma di organizzazione pubblica che si occupi di controbattere l’informazione deviata fornita da questi colleghi.

  2. Arnaldo Capozzi

    Carissimo Sestini, non discuto il primo punto.
    Mentre non sono affatto d’accordo sulla possibilità di uscire dal contenzioso in medicina soltanto migliorando il rapporto fra medico e paziente che, sia ben chiaro, è indiscutibilmente necessario. Nei contenziosi ci sono anche altre figure come l’avvocato ed il perito medico-legale che hanno tutto l’interesse (e ci sguazzano pure) sull’eccesso della contenziosità. Se non prendiamo in considerazione il ruolo di queste figure non riusciremo mai a comprendere il motivo per cui il 70% delle cause vede il medico uscirne indenne ed il fatto, tutto da dimostrare, che il restante 30% dei pazienti “vincitori” poi lo siano effettivamente.

    Sarà il freddo, preferisco cambiare strada e guardare al futuro anche se, purtroppo, l’eccesso di denunce in medicina, come tutti gli eccessi, porterà soltanto danni.

    Nell’immediato futuro si può immaginare:
    1) il modificarsi della “medicina difensiva” in “medicina evitativa” già iniziata alcuni giorni or sono con il rifiuto firmato da un chirurgo di intervenire su un paziente (facile ricerca su Google). Il chirurgo lamentava la perdita della serenità perché quel paziente precedentemente aveva denunciato un altro medico oltre a lamentarsi in generale della sanità. Tale “medicina evitativa” prenderà sempre più piede, i medici eviteranno sempre più i pazienti di cui non si fidano. È verosimile che gli avvocati ed i loro parenti saranno i primi della lista tra i pazienti da evitare perché più a rischio di contenziosità. Ma anche le gravidanze, ad esempio, verranno evitate perché è alto il loro contenzioso: il ginecologo farà soltanto il ginecologo e non l’ostetrico.
    Prima di criticare è bene mettersi nei panni, ad esempio, di un chirurgo ospedaliero con poca attività privata. Questo chirurgo, come molti suoi colleghi, si è visto aumentare di venti-venticinque volte la rata assicurativa professionale nel passaggio lira-euro e vedrà aumentare le rate nei prossimi anni. Ogni chirurgo soffre, attualmente, nella sua vita professionale, mediamente di due denunce che lo hanno visto frequentemente vincitore. Alla terza denuncia, è matematico: il chirurgo trascorrerà l’intera vita professionale con la mente in tribunale e non sui libri di chirurgia.
    2) Quando i medici apprezzeranno il poco noto D.Lgs.C.P.S.13.09.1946 n.233 art.3 lett.g ci sarà una sorta di coalizione involontaria tra medici richiedenti dapprima istanze di tipo deontologico nei confronti del perito medico-legale responsabile di pratiche disdicevoli dal punto di vista deontologico, poi risarcimenti nei confronti dello stesso perito riguardanti sia relazioni relativamente recenti sia quelle dimenticate nel cassetto. Considerando che l’attuale lunga durata dei procedimenti civili può di per sé essere responsabile della ripetizione involontaria di un medesimo errore da parte dello stesso perito in quanto le tardive sentenze non gli permettono il giusto ripensamento, ahimè, l’azione”terapeutica” potrà divenire assai articolata.

    Si uscirà dall’eccesso di contenziosità:
    1. quando sarà migliorato il rapporto tra medico e paziente. Il medico deve mostrare maggiore disponibilità al dialogo con il paziente che è molto più preparato culturalmente rispetto a tanti anni fa,
    2. quando il medico ricomincerà a difendere la sua onorabilità rafforzando l’idea di una possibile istanza nei confronti del responsabile di una perizia medico-legale deontologicamente disdicevole (così come per tutte le azioni disdicevoli nei confronti del corretto esercizio professionale),
    3. quando ci sarà la possibilità che tutti gli interessati (oculisti per un problema oculistico, ginecologi per un problema ginecologico…) potranno venire a conoscenza, nel rispetto della privacy, dell’errore in medicina per evitarlo nel futuro.

    Insomma la contenziosità si ridurrà quando l’Ordine dei Medici riprenderà il suo ruolo istituzionale di mediatore sia tra medico e paziente, sia, soprattutto, tra medico e perito medico-legale con conseguente riduzione del numero delle cause che giungono davanti al Signor Giudice. La sveglia per l’Ordine dei Medici è nel decreto sopradescritto e quindi nella richiesta di interposizione da parte del medico e da parte del paziente.

    Saluti

  3. Piersante Sestini

    Tema sicuramente importante, cui aggiungerei altre due considerazioni:
    1)Nella pratica ospedaliera (meno nelle cure primarie) esiste anche una medicina difensiva nei confronti della direzione aziendale: si aumentano le prescrizioni inutili per aumentare la produzione e raggiungere “obiettivi di budget” inutili per i pazienti e i contribuenti che pagano, ma vitali per poter mantenere le risorse di un reparto a livelli professionalmente accettabili.
    2) Dal contenzioso con i pazienti non ci si difende aumentando le prescrizioni, ma migliorando il rapporto fra medico e paziente. Ha poco senso stilare regole cui i pazienti dovrebbero attenersi. Serve invece dotarsi di skills di comunicazione per istaurare un rapporto di dialogo in cui le scelte (basate sulle evidenze) vengano ragionate e condivise (e per il quale in un’epoca di sbrigative visite di meno di 15 minuti imposte dai tecnocrati della medicina fordista -sostenuti purtroppo anche da alcuni fautori di una EBM spicciola- manca spesso il tempo)

  4. Arnaldo Capozzi

    Carissimo Cartabellotta immagina di essere una donna che deve partorire. Le tue domande all’ostetrico potrebbero essere queste:

    Visto che ho già eseguito un’ecografia poco tempo fa, è indispensabile ripeterla?
    I risultati dell’ecografia modificheranno le sue decisioni?
    Se l’ecografia è falsamente positiva (e io sono sana) quali rischi corro?
    Se non faccio l’ecografia quali rischi ci sono a breve termine?
    Se sta prescrivendo l’ecografia solo per soddisfare le mie richieste, lasci perdere e provi a rassicurarmi in altro modo.

    Però potrebbero anche essere:
    Non è meglio eseguire un tracciato tococardiografico così come ho letto su internet?
    Se questo esame non è convincente perché non è convincente? Forse l’ecografia è più convincente in quanto la convince di più? Mia sorella conosce una signora la cui cugina ha stretto la mano ad un medico che non l’ha sottoposta ad ecografia. Vorrei sapere per quale motivo voi medici non la pensiate tutti allo stesso modo. Questa situazione non mi convince, ma forse non sono convinta di essere convincente…

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    Al contrario della falsariga di Laine e della falsariga – della falsariga – di Cartabellotta consiglio un’altra visione. Ma veramente tutta un’altra.
    Nel 1946 il legislatore con il D.Lgs.C.P.S.13.09.1946 n.233 art.3, lett.g. dimostrò di essere, già allora, seriamente preoccupato delle conseguenze delle diatribe in medicina ed istituì l’Ordine dei Medici con la funzione di mediazione su richiesta.
    Notare prego: non parlo di mediazione tra paziente e medico bensì tra medico e medico o, meglio, medico-perito medico legale firmatario della relazione avversa in quanto, se è vero come è vero, che il 70% dei medici conclude a proprio favore i procedimenti che li hanno visti coinvolti (fonte A.M.A.M.I.) e che non è affatto vero che il restante 30% dei “vincitori” poi lo sia effettivamente, EVIDENTEMENTE, esiste un problema deontologico tra professionisti che altera le carte in tavola.
    L’attuale eccesso di cause è “eccesso” perché è venuta a mancare la funzione principale di mediazione iniziale ordinistica che difende le cause ben stilate e legittime ma che stronca quelle deontologicamente opinabili (diciamo così, nate per “la” cento euro…).
    Non vedo altre alternative: le acque si calmeranno soltanto con la mediazione direttamente sul ‘comparto salute’ con cacciata di tutte quelle figure professionali che nulla hanno a che vedere con la medicina vera ma che con la “medicina difensiva” ci sguazzano. Forse la pletora degli avvocati? O forse gli assicuratori che hanno aumentato di venti, venticinque volte la rata professionale mia e dei miei colleghi nel periodo di passaggio dalla lira all’euro?

    Insomma, Cartabellotta stai facendo del tuo meglio per intorpidire ancora di più ciò che qualcuno vuole sia torpido. Meno male che non devi partorire…

  5. La nostra società non accetta la morte, neppure la sofferenza intesa convivenza con dolore/menomazione/limitazione di sorta.
    Non si accetta quindi l’errore medico in quanto errore, ma in quanto ‘qualcun altro mi avrebbe guarito’.
    Vige il concetto del “Il mio problema si può sicuramente risolvere, se non risolve è colpa del medico”.
    Ecco perché un medico vuole dimostrare di aver fatto tutto il possibile, l’utile e l’inutile.
    E prescrive.

  6. Mi chiedo: ma un medico non dovrebbe sempre avvalersi di criteri basati sulle evidenze per stabilire se includere un determinato test diagnostico nel proprio processo decisionale e quindi ottimizzare il complessivo risultato del processo di cura, che include anche la soddisfazione del paziente?