Mario Negri: il coraggio di dire no a Big Pharma

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Il 4 settembre Silvio Garattini et coll. annunciano sul BMJ il ritiro dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri da un progetto della Innovative Medicines Initiative, finanziato al 50% dall’Unione Europea e finalizzato a sviluppare un farmaco di proprietà della GlaxoSmithKline (GSK).

Le motivazioni del clamoroso ritiro conseguono alle inaccettabili condizioni dettate dalla GSK, la quale “pretende per sé il diritto di accordare o negare l’accesso ai dati dello studio e il controllo della loro pubblicazione”.

 

Lo scontro Mario Negri–GSK riporta all’attenzione lo scandalo della non obbligatorietà di rendere disponibili i risultati delle sperimentazioni cliniche condotte sui farmaci. Infatti, visto che la normativa continua a ignorare le disastrose conseguenze di un reporting incompleto e della mancata pubblicazione dei risultati, il legittimo proprietario dei dati (ricercatori o industria farmaceutica) può ancora oggi decidere a propria discrezione di non pubblicare i risultati delle sperimentazioni cliniche.

Questo fenomeno – noto come bias di pubblicazione – è ampiamente documentato in letteratura da oltre 20 anni, ma non è mai stato risolto in maniera definitiva: infatti, se da un lato l’industria farmaceutica tenta continuamente di negarne l’esistenza, per parte loro nessuna tra le istituzioni e organizzazioni coinvolte nella ricerca (università, enti di ricerca, agenzie regolatorie, ordini professionali, società scientifiche, comitati etici) ha mai avanzato proposte per risolverlo definitivamente.

Per tali ragioni, il 7 gennaio 2013 diverse organizzazioni (Bad Science, Sense About Science, BMJ, James Lind Alliance, Centre for Evidence-based Medicine) hanno lanciato la petizione internazionale AllTrials, chiedendo che “tutti i risultati di tutti i trial pregressi e futuri condotti su tutti gli interventi sanitari siano resi disponibili” per garantire decisioni realmente evidence-based .

Anche la pubblicazione incompleta o distorta dei trial rappresenta un problema rilevante: ad esempio, i risultati dei trial clinici pubblicati possono differire in senso “positivo” da quanto precedentemente sottoposto alle agenzie regolatorie; l’outcome primario spesso si discosta da quello inizialmente dichiarato favorendo risultati statisticamente significativi; senza contare la frequente interpretazione ottimistica che gli autori danno dei risultati ottenuti.

Il 7 agosto, integrando l’iniziativa AllTrials, Douglas Altman e David Moher hanno lanciato una proposta: l’autore principale dello studio dovrebbe firmare una dichiarazione di trasparenza, quale elemento integrante della sottomissione dell’articolo alla rivista, dichiarando che: a. il manoscritto è un resoconto onesto, accurato e trasparente dello studio a cui si riferisce; b. non è stato omesso alcun aspetto rilevante dello studio; c. ogni eventuale discrepanza rispetto allo studio pianificato (ed eventualmente registrato) è stata spiegata.

Considerato che il fine ultimo degli investimenti destinati alla ricerca sanitaria è il miglioramento della salute delle popolazioni, lo scontro Mario Negri–GSK costituisce l’occasione per ribadire che tutta la ricerca condotta deve essere pubblicata in maniera accurata e completa. Ovviamente, per raggiungere questo irrinunciabile obiettivo tutti gli stakeholders devono essere pronti ad attuare numerose “innovazioni di rottura”, come la scelta fatta da Garattini e dai suoi collaboratori:

  • le Istituzioni dovrebbero applicare un approccio più rigoroso: ad esempio il SSN dovrebbe rimborsare un farmaco solo se tutti i dati di tutti i trial che lo riguardano sono pubblicamente accessibili, oppure inserire nel prontuario solo i farmaci di aziende che rendono disponibili i risultati di tutti i trial condotti;
  • i comitati etici dovrebbero giocare un ruolo attivo nel prevenire il bias di pubblicazione, attraverso il monitoraggio pubblico dei protocolli approvati e verificando la pubblicazione dei trial precedenti dei ricercatori prima di autorizzare ulteriori progetti di ricerca;
  • le riviste potrebbero attuare una politica simile a quella del BMJ, che prende in considerazione per la pubblicazione i trial su farmaci e dispositivi medici solo se gli autori si impegnano a rendere disponibili i dati in forma anonima, a seguito di richiesta motivata;
  • le Università e tutti i centri coinvolti in sperimentazioni cliniche non dovrebbero sottoscrivere contratti di sponsorizzazione dove l’industria detiene la proprietà dei dati e può decidere di pubblicare o meno lo studio;
  • i pazienti invitati a partecipare ai trial dovrebbero accettare il reclutamento solo se: a. il protocollo dello studio è stato registrato ed è pubblicamente accessibile; b. il protocollo fa riferimento a revisioni sistematiche delle evidenze disponibili che giustificano la necessità del trial; c. viene fornita una garanzia scritta che i risultati completi dello studio saranno pubblicati e inviati a tutti i partecipanti che lo desiderano e i dati saranno resi disponibili a tutte le parti interessate;
  • l’industria farmaceutica deve accettare che non tutti i propri legittimi interessi possano prevalere sulla salute dei pazienti, valutando l’impatto dei “costi della trasparenza” nel proprio rischio di impresa.

Tralasciando la discutibilità sul piano morale e scientifico, la ricerca non pubblicata, o pubblicata parzialmente, comporta disastrose conseguenze cliniche, economiche ed etiche: infatti, altera il profilo di efficacia-sicurezza dei trattamenti, aumenta i rischi per i pazienti, consuma preziose risorse, infrange il patto sottoscritto nel consenso informato e tradisce la fiducia dei partecipanti, convinti di contribuire al progresso della medicina.

Con le parole di Garattini: “Il segreto posto sui risultati degli studi clinici rappresenta un’indebita spoliazione dei diritti dei pazienti e dei medici che partecipano allo studio: i dati in definitiva sono loro”.

 

Fonte: Cartabellotta A. Integrità e trasparenza della ricerca: si faccia tutto alla luce del sole. Il Sole 24 Ore Sanità 2013;17-23 settembre 2013:15-17

 

  1. Claudio Civitillo

    Condividiamo e diffondiamo il coraggio delle scelte…..La salute e’ un bene prezioso, e tutti devono sapere la verita’ di ogni sperimentazione clinica.
    Claudio Civitillo

  2. Condivido senza riserve ! La ricerca, quindi la salute della popolazione, non può avere veli !
    Bravo Garattini a cercare lo scontro frontale altrimenti quasta oscenità non avrebbe il meritato risalto e bravo il Prof. Cartabellotta per l’impegno a divulgarla al momdo.

  3. Piersante Sestini

    Mi pare assurdo che la Commissione Europea finanzi, coi soldi di tutti, ricerche che sfuggono all’obbligo di rendere conto dei risultati e di consentirne il controllo da parte degli stessi ricercatori.
    Urge un intervento sul parlamento europeo per modificare questa cosa.

  4. Se fosse per Garattini saremmo ancora all’acido acetilsalicilico. Le bigpharma sono lobby potentissime ma lui è un vecchio dinosauro conservatore

  5. Quando comiciai a leggere i primi lavori di Silvio Garattini nel 1971 (“manuale di interazione tra farmaci”) era considerato un “eretico”.
    Constato con piacere che lo è ancora, o meglio che è una voce “fuori dal coro” capace di rinunciare ai soldi per questioni importanti, cioè è capace di non vendersi.
    I’m happy!
    … e grazie anche a Nino che ha avuto la buona idea di pubblicizzare il fatto.
    Ugo Montanri – medico di campagna

  6. Bravo Silvio Garattini !
    Un saluto
    Giovanni Rissone

  7. amelia beltramini

    Aggiungo che mi piacerebbe anche veder pubblicati i consensi informati di ogni sperimentazione… così, tanto per capire se l’informazione data ai pazienti è corretta e completa… ;) Ma io, si sa, ho il pallino della trasparenza…

  8. amelia beltramini

    In effetti sarebbe interessante sapere quali sono le altre 16 istituzioni che hanno accettato di partecipare: aspettiamo di vederne l’elenco nel portale WHO dei clinical trials. Ma forse Luca Cavalieri ci può anticipare quali sono? Sarebbe interessante valutarne il peso, sapere quanti altri studi hanno in corso con GSK, quanti ne hanno fatti e registrati precedentemente etc, quanti dati hanno pubblicato e se con gli anni sono stati smentiti. Per quanto mi riguarda sono convinta che, se le regole del gioco venissero cambiate e l’industria fosse obbligata a pubblicare TUTTI gli studi e non solo quelli venuti meglio, lo spazio di manovra si ridurrebbe, a tutto vantaggio della trasparenza, dell’informazione e dei cittadini. Certo comprendo che questo potrebbe in qualche modo ripercuotersi sullo stesso Luca Cavalieri, che da un’industria farmaceutica (non si sa quale) dipende: ma davvero che la trasparenza le ricordi una metafora nazista… mi sembra per lo meno azzardato. Aggiungo che ormai una grande mole di studi e di libri (non ultimo quello di Ben Goldacre) hanno dimostrato il potere inquinante di questi meccanismi di segretezza, soprattutto quando sono sommati al meccanismo delle revolving doors in andata e in ritorno per cui ricercatori che siedono nelle istituzioni di controllo si preparano un futuro nell’industria farmaceutica. Un esempio è per esempio quello di Thomas Lönngren, Executive director di Ema che addirittura prima di lasciare la poltrona aveva fondato un’azienda di consulenze…
    Direi che la completa trasparenza, in tutti i sensi, compresi i conflitti di interesse, è certamente da preferire: consente a tutti di vigilare sul corretto svolgimento di un settore tanto importante per la salute dei cittadini e se già tutto è così ben fatto come ci racconta Luca Cavalieri, non vedo che cosa giustifichi la segretezza.

    • Gent.le Amelia Beltramini,
      Tanti aspetti su cui replicare, ma mi soffermo su una Sua frase.
      Noto infatti che Lei tra l’altro scrive:
      “Aggiungo che ormai una grande mole di studi e di libri (non ultimo quello di Ben Goldacre) hanno dimostrato il potere inquinante di questi meccanismi di segretezza, …”.

      RE: Non sono molto amante della segretezza neppure io. Ma, torno a ripetere, a volte mi sembra che si voglia una trasparenza assoluta, una “casa di vetro” e ciò rappresenta un noto ideale nazista di controllo totale, stile Grande Fratello di orwelliana memoria.
      In quanto poi alla gran mole di libri, personalmente ritengo che si tratti semplicemente di un – legittimo – business editoriale.
      Ad esempio, il da Lei citato Ben Goldracre, autore del famigerato “Effetti Collaterali”, ne è un emblematico esempio.
      Il “casus belli” del libro Effetti Collaterali di Ben Goldacre è riportato da pag. 17 a pag. 19 e tratta del caso reboxetina (Davedax della Marvecs; Edronax della Pfizer [tengo a precisare che la mia ditta non è nè la Marvecs nè la Pfizer e che la mia ditta non ha nel suo listino alcun antidepressivo]).
      Tra l’altro, ricordo en passant che anche la recensione del libro di Ben Goldracre apparsa a pag.96 del fascicolo di settembre 2013 di Le Scienze (cioè, quello che si trova oggi in edicola) incentra la propria valutazione positiva specificatamente richiamando con enfasi la versione di Goldacre della reboxetina story.
      Raccontiamo la storia della reboxetina secondo Ben Goldacre, chiedendo in anticipo venia al dr. Cartabellotta per la digressione off-topic.
      Il da Lei citato dr. Ben Goldacre racconta di aver prescritto reboxetina (un antidepressivo con un meccanismo d’azione un po’ particolare) a un Suo paziente affetto da depressione.
      Dopo di che, scopre – oibò! – che la reboxetina non funziona e si sente – oibò! – imbrogliato.
      Egli – a tal riguardo – richiama in particolare una metanalisi di Autori tedeschi sull’efficacia della reboxetina pubblicata sul BMJ nel 2010 che aveva dato luogo a un OR: 1,24 con P= 0,07.
      In altre parole, l’efficacia della reboxetina non era differente da quella del placebo :-(
      Ben Goldracre si lamenta fortemente di questo fatto e lo indica come esempio paradigmatico della luciferina essenza di Bad Pharma e della colpevole ignavia dell’Autorità.
      In realtà, la storia non è raccontata fino in fondo.
      EMA e MHRA hanno doverosamente rifatto i calcoli della meta-analisi tedesca e hanno constatato che la reboxetina è superiore – in modo statisticamente significativo – al placebo con un OR = 1,41 e una p=0,01.
      Nel documento ufficiale della MHRA, che si può trovare su internet, da cui ho attinto questi dati, è anche spiegato il motivo nei dettagli di questa discrepanza. Per dettagli si veda, tra l’altro, il link http://www.mhra.gov.uk/Safetyinformation/DrugSafetyUpdate/CON128957
      Si ricordi che il documento di MHRA è del settembre 2011 e la introduzione del libro “Effetti Collaterali”, firmata da Ben Goldacre stesso, è dell’agosto 2012!!
      In conclusione, il da Lei citato Ben Goldacre ha lanciato un altra manciata di fango contro l’industria farmaceutica, mentre guadagna fior di soldoni con il suo libro che racconta ciò che piace leggere a un numero ragguardevole di persone della intellighenzia snob “anti-industria farmaceutica a prescindere”.
      Il libro di Ben Goldacre è pieno di approssimazioni e descrizioni fuorvianti (contiene molti puntuali riferimenti bibliografici, ma ancora molte Sue più roboanti affermazioni rimandano al principio del citation needed): ma l’importante non è raccontare la verità, ma vendere un prodotto e fare soldi.
      Ben Goldacre – e tanti altri come lui – hanno scoperto che esiste un pubblico – composto dalle persone di cui sopra – disposto a pagare ben 19€ per un libro dove si demonizzi l’industria farmaceutica.
      Oggi, infatti, per una certa intellighenzia scagliarsi contro l’industria farmaceutica è “à la page”, e per certa editoria è remunerativo perché trova pesciolini che, a bocca aperta, ingurgitano acriticamente tutto ciò che i vari astuti Ben Goldacre gli propinano.
      In conclusione, l’industria farmaceutica non è fatta certamente di sant’uomini. Ma neppure di demoni.
      Cordiali saluti
      Luca Cavalieri

      • gentile Luca Cavalieri,
        1. CIT a volte mi sembra che si voglia una trasparenza assoluta, una “casa di vetro” e ciò rappresenta un noto ideale nazista di controllo totale, stile Grande Fratello di orwelliana memoria.
        Visto che lei insiste ;) preciserò che a parer mio c’è una grande differenza fra la trasparenza richiesta dai nazisti, cioè trasparenza dei cittadini nei confronti del potere, e la trasparenze richiesta oggi al potere nei confronti dei cittadini. Mentre il potere non paga i cittadini, certamente i cittadini pagano il potere perché faccia i compiti, e hanno il diritto di verificare come sono stati utilizzati i loro denari, soprattutto quando hanno l’impressione che i compiti non vengano ben fatti.

        2… CIT Il “casus belli” del libro Effetti Collaterali di Ben Goldacre … tratta del caso reboxetina
        Sul caso reboxetina avrei da aggiungere altro, ma se le cause di perplessità nei confronti della gestione del settore “farmaceutico” e dei “dispositivi medici” fossero solo la reboxetina, non si farebbe tanto can can. Purtroppo le cose non stanno così. Sono certa che anche lei ha letto il libro di Peter Gøtzsche, responsabile del Nordic 
Cochrane Centre: Deadly Medicines and Organised Crime: How Big Pharma Has Corrupted Healthcare. Elenca ben 10 casi in cui è intervenuto il Department of Justice Americano con pesanti multe alle aziende… per esempio, sempre Glaxo il caso Avandia, http://www.justice.gov/opa/pr/2012/July/12-civ-842.html (failing to report safety data about the drug Avandia to the Food and Drug Administration). Ora il Dpt of Justice americano, come è noto, non è in mano ai comunisti e non cerca facili guadagni in diffusione… ;)
        E vogliamo parlare caso infuse di Medtronic (http://drugwatch.com/2013/06/20/yale-study-infuse-bone-graft-complications/) del quale l’azienda ha volutamente sottaciuto i rischi in fase di registrazione (http://www.spine.org/Documents/TSJJune2011_Carragee_etal_CriticalRev.pdf)? O dello scandalo del benfluorex che ha travolto l’Agenzia nazionale del farmaco francese?
        Ci potremmo perdere nell’elenco dei casi… e qui hanno spazio solo brevi commenti.
        3. CIT In conclusione, l’industria farmaceutica non è fatta certamente di sant’uomini. Ma neppure di demoni.
        No, ha ragione, l’industria farmaceutica non è fatta da demoni. E sono pochi i Daniel Vasella, AD Novartis che a fine carriera percepiscono un assegno da 72 mio di franchi (60 mio €) tanto da far insorgere la pacifica Svizzera. D’altra parte alla stampa oggi con l’acqua alla gola bastano poche pubblicità per chiudere la bocca, e anzi, troppo spesso si limita a riportare i contenuti delle conferenze stampa e i virgolettati degli “opinion leaders” che l’industria paga. In queste condizioni ben vengano i libri che parlano delle malefatte dell’industria: servono a ristabilire l’equilibrio nell’informazione. Questo non significa che gli autori non riconoscano anche i meriti di Big Pharma. In un campo così vitale per la salute dei cittadini, in cui si investe tanto denaro pubblico (l’industria paga le ricerche di universitari e ospedalieri, ma non gli stipendi e neppure le “location”, e i farmaci del SSN, pagate dai cittadini) è importante il potere di verifica. Come dice l’antico detto “l’occhio del padrone ingrassa il cavallo” e i cittadini sono i padroni. Ma su questo, mi pare di capire, è d’accordo anche lei.
        cordiali saluti

        • Gentile Amelia Beltramini,
          Lei affronta, nel Suo intervento del 23 settembre 2013 alle 11:46, tre aspetti, articolati in sottoparti, prendendo spunto da tre mie citazioni: (1.) questione della trasparenza; (2.) questione di Ben Goldacre/Peter Gøtzsche/breve e non esaustivo elenco malefatte dell’industria farmaceutica; (3.) questione Daniel Visella/stampa zittita/W i libri che disvelano le malefatte dell’industria.

          Provo a risponderLe.
          (1.) Sono convinto di aver già risposto alla questione della trasparenza: come ho già scritto nel mio intervento del 22 settembre alle 09:54, personalmente concordo che vi dovrebbe essere obbligatorietà legale sul fatto che il risultato di uno studio clinico debba essere divulgato e reso pubblico. Come ho aggiunto, sono abbastanza convinto, però, che – oggigiorno – anche se non vi è obbligatorietà legale, sia stata comunque fatta grandissima strada in questa direzione e che vi sia una sostanziale e riconosciuta obbligatorietà di fatto, testimoniata dall’impennata che si è avuta in questo ultimo decennio di pubblicazione di studi con risultati negativi.
          Come ho già detto, non ritengo invece legittimo che chiunque possa, senza chiedere alcun permesso a nessuno, arrogarsi arbitrariamente il diritto di attingere direttamente al Master File di uno studio e farci sopra ciò che più gli piace.

          (2.) Di Ben Goldacre parlerò poi. Conosce invece chi è Peter Gøtzsche? Sa davvero di chi sta parlando? Lo sa che ha dichiarato di avere molta più paura di radiologi, ginecologi, oncologi di tutto il mondo che della luciferina industria farmaceutica?? Si informi, e vedrà di chi ha davvero paura Peter Gøtzsche :-(
          Comunque non comprendo che significato voglia attribuire all’elenco di scandali che hanno coinvolto l’industria farmaceutica!?
          Vuole suggerire forse che il tasso di scandali nella industria farmaceutica è più alto che negli altri tipi di settori industriali? Vuole suggerire forse che chi è ha predisposizione genetica verso il Male tende a farsi assumere nell’industria farmaceutica? Non comprendo! Cosa vuole che Le risponda? Con la trita ovvietà che ogni cesto di mele ne contiene alcune marce?

          (3.) L’esempio di Daniel Vasella mi sembra francamente un esempio di argomentazione fuorviante. Che ci azzecca sul fatto che percepisce una montagna di soldi da una ditta privata? Questo avviene in tutti i settori. Cosa crede che guadagni Sergio Marchionne? Personalmente non faccio salti di gioia a sentire tali emolumenti, ma è una questione di (assenza di?) regole del mondo capitalistico in cui viviamo e non ha nulla a che vedere – in modo specifico – con l’industria farmaceutica.
          La stampa zittita non riesco a vederla. O meglio, esiste effettivamente una minuscola stampa di serie B che vive di pubblicità e su cui si leggono, come dice Lei, i virgolettati degli “opinion leaders” che l’industria paga. Ma di quante rivestucole stiamo parlando? Ma che influenza possono avere? Invece, i settimanali ad ampia diffusione, come L’Espresso, Panorama, ma anche i grandi quotidiani (il Corriere, Repubblica, La Stampa, ecc.), ma anche le trasmissioni televisive come Report di Milena Gabanelli li vedo far cagnara contro l’industria farmaceutica spesso e volentieri in modo pretestuoso. Anche Le Scienze ha messo sugli scudi il libro di Ben Goldacre :-(
          Provi a scrivere un libro genericamente a favore dell’industria farmaceutica e poi vediamo quante copie vende :-(
          In conclusione, abbiamo bisogno di libri che disvelino le malefatte della industria farmaceutica?
          Io credo che abbiamo bisogno di riformulare nella nostra testa delle idee “giuste” su cosa vogliamo dall’industria farmaceutica; idee “giuste” di cui non si promuove lo sviluppo con libri come quello di Ben Goldacre in cui l’Autore indossa i panni del messia che scende sulla Terra per generosamente (solo, in fondo, 19€!) e magnanimamente farci aprire gli occhi di fronte alla Verità e così liberarci dalla Menzogna Satanica che alligna nell’Industria Farmaceutica. Amen ;-)
          Cordiali saluti
          Luca Cavalieri

  9. Gent.le Enrico Lauta,
    Devo sinceramente ammettere che – in prima approssimazione – il vero motivo di fondo del mio intervento fa riferimento al fatto che quando, alla mattina, mi faccio la barba, tendo, più o meno consapevolmente, a guardarmi le tempie, per vedere se mi sono cresciute delle corna; controllo anche se fra le regioni glutee non è spuntata una coda a punta :-(
    Ormai si sta allargando a macchia d’olio una demonizzazione dell’industria farmaceutica che mi lascia alquanto disorientato. E disgustato.
    Vi è una certa “intellighentia” che spara ad alzo zero contro l’industria farmaceutica a prescindere.
    Non è possibile certamente negare alcuni incresciosi scandali che hanno coinvolto l’industria farmaceutica, però troppo spesso mi pare di scorgere un atteggiamento non equilibrato.
    Anche il dr. Cartabellotta se, da una parte, non posso non ringraziare per l’ospitalità, d’altra parte, non posso altresì non notare che mette sotto i riflettori le ragioni solo di una parte.
    Last but not least, ribadisco che già ora l’Autorità, cioè l’Aifa, ha la possibilità di controllare direttamente e nei dettagli ogni trial clinico che si svolge sul territorio italiano. Oltre a ciò, ogni ditta farmaceutica è tenuta, con regolarità, a informare – in modo proattivo – l’Autorità di ogni minimo dettaglio del proprio farmaco con gli PSUR e gli DSUR (si ricorda che in Europa, le varie Agenzie Nazionali equivalenti di Aifa si sono spartite la farmacopea, per cui accade che lo PSUR di un farmaco X della mia ditta lo di debba inviare all’Autorità inglese o tedesca e solo in copia conoscenza all’Aifa).
    Ciò detto, concordo con Lei che vi dovrebbe essere obbligatorietà certa che il risultato di uno studio clinico debba essere divulgato e reso pubblico. Mi pare però che oggigiorno se non vi è obbligatorietà legale sia stata comunque fatta grandissima strada in questa direzione e che vi sia una sostanziale e riconosciuta obbligatorietà di fatto.
    Lo dimostra il fatto che vent’anni or sono quasi non si vedevano studi sui farmaci con esito negativo, mentre oggigiorno sono quasi di più di quelli con esito positivo :-(
    Cordialità
    Luca Cavalieri

  10. Vorrei chiedere a chi si occupa di comitato etico se non sarebbe il caso che nel consenso informato fatto firmare ai pazienti arruolati in un trial venga specificato CHI deciderà se e come pubblicare i risultati dello studio. Se l’industria vuole mantenere il potere decisionale che paghi i pazienti che si sottopongono al trial e che questo sia palese ed approvato dal Comitato Etico che autorizza la sperimentazione, se ha il coraggio di farlo!!!

  11. Condivido la scelta di Garattini….la ricerca deve rimanere libera.

  12. Esempio di integrità! Da esigere e da seguire !

  13. Eh si , ormai chi osa, come un Don Chisciotte, opporsi con grande senso etico allo strapotere di queste multinazionali. è un tipo naif; il prof. Garattini non ha ancora capito come gira il mondo….

  14. Ringrazio il prof.Nino Cartabellotta che ci fornisce da sempre utili e preziose informazioni .

  15. Ottimo, condivido in pieno!

  16. Sono assolutamente d’accordo con il Prof Garattini, che dovrebbe essere di esempio a tutta la comunita scientifica

  17. Bè, ritengo che sarebbe corretto – per fare in modo che il lettore si possa fare una propria opinione – riportare anche la voce della controparte, cioè della GSK. Invece, qui si sente solo una “campana”.
    In una articolo del BMJ in merito a questa tematica sono riportati anche i commenti sfumatamente salaci di esponenti di altre istituzioni di ricerca medica che prendono le distanze dalle scelte – giudicate naive – di Garattini.
    Si ricorda infatti che al progetto a cui ha rinunciato – in splendida solitudine – l’Istituto Negri, non hanno negato la propria disponibilità ben altre 16 entità pubbliche di respiro internazionale, alcune delle quali hanno espressamente dichiarato nello stesso articolo del BMJ di essere soddisfatte del livello di condivisione, trasparenza e collaborazione.
    Cordiali saluti
    Luca Cavalieri
    Conflitto di interessi: lavoro in una ditta farmaceutica (che non è la GSK).
    La ditta farmaceutica per cui lavoro non ha alcun rapporto con GSK.

    • Cercherei di non spostare la discussione o il giudizio su piani differenti da quello proposto dall’articolo. Non credo possa essere giudicata corretta la proprietà esclusiva dei risultati di una ricerca. È dovere di ricercatori, pazienti e detentori di interesse a qualsiasi titolo in ambito di ricerca clinica, pretendere la disponibilità dei risultati di ogni trial clinico correttamente disegnato, approvato dai Comitati Etici ed eseguito. Risultati diversi da quelli attesi o giudicati inconsistenti sono utili nelle analisi più complesse (ad es. le metanalisi) al fine di esprimere giudizi sui trattamenti. Enrico Lauta.

      • Enrico Lauta
        Il titolo di questo post è “Mario Negri: il coraggio di dire no a Big Pharma” e – in primis – non vedo dove si possa leggere l’intenzione di spostare la discussione o il giudizio su piani differenti da quello proposto dall’articolo.
        In secundis, la richiesta della trasparenza totale mi ricorda la metafora nazista dell’uomo di vetro che è la pretesa di chiedere e ottenere qualsiasi informazione, implicando la classificazione come sospetto e cattivo di chiunque intenda mantenere spazi di riservatezza. D’altra parte, mi sovviene altresì un mio professore che diceva che se, per un qualsiasi motivo, avesse deciso, quel giorno stesso, di abbandonare l’attività di ricerca, avrebbe potuto comunque continuare a pubblicare per anni con i dati – raccolti in modo del tutto caotico e disordinato – che aveva nel cassetto della propria scrivania. Tenere inoltre presente che comunque le Istituzioni (AIFA, in Italia) ovviamente hanno comunque diritto ad avere accesso a tutti i dati di tutti gli studi clinici condotti in Italia e che nel dossier registrativo compaiono tutti i dati, belli e brutti, che sono stati prodotti nell’iter dello sviluppo del farmaco. E, in definitiva, se su un determinato argomento medico, si vuole avere libero e completo accesso a tutti i dati e a tutti i numeri disponibili, ritengo personalmente che sia sufficiente aprire il proprio portafoglio e finanziare lo studio clinico mettendoci i propri soldini. Così sono tutti contenti ;-)
        Ciao a tutti
        Luca Cavalieri

        • Gentile Luca Cavalieri,
          il commento che Le ho inviato parte dalla mia personale interpretazione circa il contenuto dell’articolo che a mio parere espressamente riguarda: “Lo scontro Mario Negri–GSK riporta all’attenzione lo scandalo della non obbligatorietà di rendere disponibili i risultati delle sperimentazioni cliniche condotte sui farmaci”.
          Nel Suo primo commento Lei riferisce che altre 16 istituzioni hanno accettato di partecipare alla ricerca, giudicandola corretta, e riportava il giudizio di “naive” attribuito al prof. Garattini, condividendolo – mi pare. Al di là di come siano andate le cose tra Mario Negri e GSK, mi pareva pertinente offrire un giudizio proprio sulla querelle proposta da Cartabellotta; non ritrovando chiaramente espresso il Suo nel post da Lei pubblicato, mi sono permesso di segnalarLe quello che mi sembrava un salto di piano logico. Le chiedo scusa se posso averLa in qualsiasi modo offesa, non ne avevo assoluta intenzione.
          Cordiali saluti.
          Enrico Lauta