Assistenza al malato terminale: comunicare e condividere

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Esiste una fase della vita umana dove, piuttosto che coltivare false speranze, la medicalizzazione deve gradualmente lasciare spazio all’umanizzazione delle cure e tutti i professionisti sanitari devono assistere i pazienti terminali con un mix equilibrato di scienza, comunicazione ed empatia.

Oggi, anche le linee guida internazionali raccomandano ai medici di pianificare con tutti i pazienti oncologici con aspettativa di vita inferiore a un anno la loro assistenza terminale, end-of-life care (EOLC).

 

Con i limiti legati alla trasferibilità dei risultati (contesto USA) lo studio di Jennifer Mack e coll. pubblicato ieri sugli Annals of Internal Medicine, dimostra che i medici discutono della pianificazione dell’assistenza terminale con il 73% di 2155 pazienti con carcinoma polmonare o del colon-retto in fase avanzata.

Questo dato documenta che negli Stati Uniti la comunicazione e il coinvolgimento dei pazienti terminali nella pianificazione della loro assistenza terminale avviene in tre casi su quattro; inoltre, la percentuale sale al 87% quando vengono analizzati i dati relativi ai 1470 pazienti deceduti durante il follow-up.

Ma… esiste una parte mezza vuota del bicchiere? In realtà sì, e i bicchieri sono tanti.

Innanzitutto, solo nel 41% dei 685 pazienti ancora in vita alla fine del follow-up era documentata una discussione sulla EOLC; in secondo luogo, per gli oncologi si tratta ancora di un argomento tabù, visto che ne parlano direttamente ai pazienti solo nel 27% dei casi; infine, tra i 959 pazienti con documentata discussione sulla EOLC, questa avveniva in media… 33 giorni prima del decesso.

Quando la prognosi di un paziente oncologico è segnata, piuttosto che sprecare tempo e risorse in accanimenti terapeutici inefficaci, inappropriati e rischiosi, alimentando false speranze, tutti i professionisti sanitari dovrebbero discutere con i pazienti con adeguato anticipo la pianificazione della loro assistenza terminale, rispettando le loro preferenze, oltre che le leggi vigenti.

Solo buon senso?

No, robuste evidenze scientifiche documentano che i pazienti che discutono con un medico le loro preferenze sulla pianificazione dell’assistenza terminale preferiscono interventi palliativi, piuttosto che invasivi, scelgono di morire a casa o in hospice (piuttosto che in ospedale) e ricevono più frequentemente un’assistenza sanitaria secondo le loro aspettative e preferenze. Infine, un’assistenza meno aggressiva (e meno costosa) si associa a una migliore qualità di vita dei pazienti terminali.

Mai come in questo caso… less is more!

Fonte: Mack JW, et al. End-of-Life Care Discussions Among Patients With Advanced Cancer: A Cohort Study.Ann Intern Med 2012;156:204-10

 

  1. Il problema in Italia è marginale; le cartelle cliniche non contengono mai riferimenti alle eventuali decisioni anticipate del paziente; le strutture tipo Hospice sono rare; gli ospedali al loro interno non hanno degenze specifiche, le cure palliative sono comunque trasversali (come discipline), ma non sono insgnate perchè mancano i docenti

  2. ciao Luigia. Per rispondere alla tua domanda qualcuno in italia che abbia capito l’importanza di questo approccio c’è (oltre a Nino), ed è la Fondazione ANT italia (www.ant.it) che, prendendo anche spunto dalla dr.ssa Saunders, da più di 35 anni assiste gratuitamente persone con queste necessità. ciao

    • Ne sono a conoscenza, grazie. Purtroppo però, come tu stesso dici, si tratta ancora solo di “qualcuno”. Sarebbe auspicabile un’ampia diffusione di questo approccio. Ciao

  3. Certamente assistere ed accompagnare le persone, ma soprattutto saperlo fare con il massimo impegno, nell’ ultimo tratto della vita è opera di incomparabile amore per il prossimo, nonchè di formazione personale, oltre che di indiscussa migliore qualità di vita per il malato terminale e di risparmio per una assistenza sanitaria meno aggressiva dunque meno costosa. Bisognerebbe però prima sempre indagare sulla volontà della persona, magari attraverso i familiari, per la possibilità che l’ interessato al trattamento potesse mai desiderare una diretta consapevolezza della propria fine imminente. Nella realtà in cui io vivo, a Lanciano, da circa un anno è stato inaugurato un Hospice, che accoglie circa 12 pazienti terminali,e ,da caso a caso, i rispettivi familiari: una bella e dignitosa realtà! Grazie Nino per portare alla luce tematiche di profondo significato umano e di enorme importanza per tutti, operatori sanitari e non.

  4. “Tu sei importante perché sei tu e sei importante fino alla fine”. Queste le parole rivolte ai suoi pazienti terminali dalla dottoressa Saunders che, nel 1967 a Londra, ha dato vita ai primi Hospice, sottolineando l’importanza delle cure palliative nella medicina moderna.
    Mi chiedo: dopo quasi 50 anni quanti in Italia hanno veramente capito il valore di tali cure?
    Grazie Nino per richiamare all’attenzione temi di estrema importanza!