Firenze lo sai… non è servita a cambiarla

A A A

Leggendo il titolo del post, molti di voi intoneranno la melanconica canzone del compianto Ivan Graziani e continueranno con “…la cosa che ho amato di più è stata l’aria”.

Io, invece, durante i 35 minuti di Eurostar che separano Firenze da Bologna proverò a spiegare perché l’ultima sillaba del post (-la) si riferisce alla professione medica.

Oggi la Società Italiana di Chirurgia - nell’ambito del 113° Congresso Nazionale - ha organizzato la tavola rotonda L’accreditamento del chirurgo: una strada che inizia, dove ho portato il mio contributo sui “modelli internazionali di accreditamento professionale”.

Ma di cosa stiamo parlando?

Del fatto che, secondo il sistema attuale, l’abilitazione all’esercizio della professione medica non prevede alcuna rivalutazione periodica: in altri termini, dalla tenera età di 24-25 anni sino al pensionamento il medico detiene perenne licenza di curare (ma anche di uccidere). L’unico obbligo richiesto  – peraltro non sanzionato nel caso in cui non venga ottemperato - è l’acquisizione di crediti a seguito della partecipazione ai corsi accreditati dal Sistema Nazionale di Formazione Continua in Medicina.

A Firenze il Comandante Marco Alberti  – responsabile relazioni esterne dell’Italian Flight Safety Committee - ha illustrato che i piloti di aereo vengono sottoposti a una valutazione periodica, oltre che dell’idoneità fisica e psico-attitudinale, anche delle competenze tecniche. E che questo processo di valutazione serve a confermare, o meno, l’abilitazione a pilotare un aereo.

Quanti anni serviranno ancora per allinearci ai sistemi sanitari più avanzati, dove la professione medica è sottoposta a una periodica revalidation?

Da medico mi sento di affermare, senza dubbio, che questo… è un privilegio di casta!

  1. Piersante Sestini

    La somiglianza fra fare il medico e il pilota di linea è abbastanza limitata. Il buon pilota di aereo fa un lavoro con poche incertezze, strettamente guidato dalle procedure e largamente indipendente dai passeggeri.
    Il buon medico no: pratica una scienza stocastica in cui le procedure, quando pure ci sono, rivestono un ruolo secondario e comunque da adattare al caso specifico.
    Valutare queste capacità è assai più difficile che non le abilità tecniche.

    Ci sono però aspetti del controllo della sicurezza che potrebbero essere imparati dai piloti: lo studio degli incidenti aerei ha mostrato che le cause principali sono da cercare in problemi di rapporti o di comunicazione all’interno dell’equipaggio. La maggiore attenzione a questi aspetti ha portato ad una marcata diminuzione degli errori in volo. Secondo me è questa semmai la lezione da studiare con attenzione, perché il clima nei nostri reparti e ambulatori non sempre è armonioso….

  2. L’importanza della formazione continua in medicina credo sia un problema reale, ma…
    A chi è rivolta? Non è sempre per i soliti 4 gatti che passano la vita a organizzare e fare convegni per eletti?
    Quali sono gli aggiornamenti efficaci ed efficienti?
    EBM e LG chi veramente li ritiene strumenti utili per il lavoro di tutti i giorni, e chi se li mette all’asola del camice?
    Perchè un professionista sanitario che opera in un piccolo ospedale non ha le stesse possibilità di colui che lavora nei grandi centri universitari dove spesso la sperimentazione è una scusa per avere i numeri sufficienti?
    sanare la Sanità in Italia è un’operazione possibile? Forse si, sinceramente ogni giorno vedo professionisti sanitari che svolgono con coscienza e impegno il loro lavoro, ma ahimè vedo anche altri che passano l’intero orario di lavoro al computer…e non per aggiornamento…ve lo posso assicurare!

  3. Mi piacerebbe sapere cosa fanno gli anglosassoni…cioè i pakistani che fanno i medici per il SSN inglese (io vedo solo quelli negli ospedali e nei walk in centre!)
    Con la pensione dopo la morte, i ritmi da fonderia, le pretese da sopra sotto e di fianco, la lucidità, la competenza e l’interesse all’aggiornamento che gli operatori mostrano è un miliardo di volte superiore a quella che le aziende incentivano (e non parlo di soldi, ma di stimoli)!
    Infatti le nuove generazioni….i migliori medici italiani che conosco sono albanesi!
    PS non sono un medico

  4. Antonio Romanelli

    A proposito di casta: si potrebbe essere d’accordo sulla necessità di valutazioni periodiche delle capacità professionali e magari anche di quelle psicofisiche dei medici. Una sorta di “permis de guérir” sulla scorta del “permis de conduire” per guidare.
    E se si trovasse il sistema, non credo ci siano difficoltà a convenire che andrebbe, quanto meno, esteso a tutte le professioni “liberali” regolate da ordini professionali: ingegneri, avvocati, notai, commercialisti…

    Rispetto a queste ultime, al momento, almeno per i medici vige l’obbligo di crediti “ECM”.
    u quelle

  5. Andrea Stracciari

    Sono assolutamente d’accordo.
    L’argomento appare delicato, ma merita certamente di essere approfondito, non solo per ciò che riguarda strumenti di sorveglianza del mantenimento delle competenze tecniche, ma anche rigurado alla conservazione dell’idoneità psico-fisica alle mansioni.
    Come già scritto in altra sede (Neuropsicologia Forense, Il Mulino, 2010), la valutazione dell’idoneità professionale alla professione(‘fitness to practice’) medica è un ambito – negletto in Italia – che riveste una grande importanza per le eventuali ripercussioni anche in ambito medico-legale.
    Si sa che i medici tradizionalmente tendono a trascurare la propria salute, spesso si autogestiscono nella diagnosi e terapia delle proprie malattie, usualmente minimizzano i propri disturbi, non considerano la necessità di prendersi adeguato riposo. Inoltre, per ciò che riguarda le proprie condizioni psicofisiche, i medici hanno poca fiducia e disponibilità a confrontarsi con i servizi di medicina del lavoro, sottoponendosi a controlli solo in seguito all’emergere di problemi, per esempio dopo essere stati coinvolti in un errore nell’esercizio dell’attività professionale. Uno studio australiano, non recente, [Wilson et al. An analysis of the cause of adverse events from the quality in Australian Health Care Study, in «The Medical Journal of Australia»,1999, 170, pp. 411-415] ha trovato che il 63% degli errori medici è attribuibile a compromissione cognitiva e che la maggior parte di essi è stata riconosciuta essere prevenibile.
    Uno studio retrospettivo dell’Università della California su 148 medici con problemi di ridotta performance ha dimostrato deficit in test di attenzione, ‘sequential processing’, logica, coordinazione visuoprassica, apprendimento verbale e non verbale [Perry & Crean. A retrospective review of the neuropsychological test performance of physicians referred for medical infractions, in «Archives of Clinical Neuropsychology»,2005 20, pp. 161-170.2005].
    Le efficienze cognitive degli operatori sanitari possono essere minate dall’inizio spesso subdolo di una malattia neurodegenerativa o vascolare, ma anche abitudini quali l’abuso alcolico, di farmaci o la presenza di depressione possono tutti contribuire a ridurre l’integrità cognitiva indipensabile per l’esercizio della professione medica [Pitkanen, Hurn e Kopelman. Doctors’ health and fitness to practise: Performance problems in doctors and cognitive impairments, in «Occupational Medicine»,2008 58, pp. 328-333.].
    Per questi motivi nei paesi anglosassoni sta crescendo la prassi di sottoporre i medici che mostrano errori o difficoltà nell’attività professionale o che sono coinvolti in contenziosi medico-legali a valutazione neuropsicologica e neuro psichiatrica [Trunkey & Botney. Assessing competency: A tale of two professions, in «Journal of the American College of Surgeons», 2001, 192, pp. 385-395; Crean et al. Forensic: Neuropsychological profile of impaired physicians involved in litigation, in «Archives of Clinical Neuropsychology», 2001 16, pp. 808-815].
    Non posso che auspicare una maggior attenzione al problema, sia da parte dei medici che dei loro “controllori”.